La questione verde – Riflessioni su agricoltura e campagna

di Luigi Franco

11 settembre 2004

Da anni,per interesse personale e come studente di Agraria (ampiamente fuori corso,per irriducibile incompatibilità con l’ispirazione tecnocratica di questa Facoltà),seguo pubblicazioni e niziative del vasto movimento che si richiama a un recupero della terra in senso ecologico e anticapitalistico.

E’ un insieme assai vario di realtà,che va dalle associazioni biodinamiche ai “verdi” di tutte le sfumature: ma mi sembra che ci sia un equivoco di fondo. Bisogna distinguere tra agricoltura come settore economico,e campagna come ambiente sociale.

Non basta cambiare certe tecniche di lavoro per risolvere la questione rurale: si può anche immaginare un’agricoltura ecologica e disinqui- nata che tuttavia rinforzi lo sbaglio fondamentale,cioè l’isolamento culturale ed esistenziale della campagna stessa,la sua riduzione a comparto marginale e residuale,la rapina urbana che priva il territorio di presenza umana e di valori.

Si può immaginare un’agricoltura “pulita” ed estetica grazie all’uso di maggior tecnologia ed automazione,con ulteriore espulsione di manodopera: più capitale e meno lavoro vivo,più efficienza nelle zone intensive,più silenzio altrove.

Peggio,un’agricoltura tornata attraente può incentivare il ritorno alla terra in chiave turistica e palazzinara,il fungheggiare dei capannoni del Decentramento Produttivo, la diffusione capillare della peste urbana e del suo colonialismo spirituale. Tutto ciò è già realtà,”i barbari sono tra noi” (nel senso di quell’articolo di Calvino sul proliferare degli oggetti consumistici,alienati e obsolescenti).

Ma barbaro è forse anche il pragmatismo ingenuo di chi punta all’alternativa tec- nico-biologica senza chiarire in quale contesto sociale va situata,senza princìpi diversi da quelli della civiltà industriale.

Il “problema agrario” va ben al di là del fatto ecologico-economico,e anche della emarginazione storica a cui le classi egemoni l’hanno destinata: ha radici antiche, nell’orizzonte remoto della divisione del lavoro,o addirittura nel divirzio primor- diale dell’uomo dalla natura e dai suoi simili.

Naturalmente,in attesa di una riconversione spirituale radicale e globale,ben vengano i pionieri,gli esperimenti di recupero comunitario,gli arcipelaghi verdi e alternativi.

In conclusione di questo frammento di discorso,ne riconosco il vizio di fondo di una matrice poetico-romantica,la contemplazione accorata e struggente di ciò che oggi la campagna realmente,desolatamente è: una immensa,vana distesa di posti da vivere, di possibilità inadempiute,inespresse,un grido taciuto.

 

(Cronache albesi,maggio 1982)

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